Consacrazione, liberazione, ascensione.
Il 1961 fu l'anno di grazia per John William Coltrane.
Era ormai affrancato dalle spire della droga (<<…sperimentai, per grazia di Dio, un risveglio spirituale. . . per gratitudine, chiesi che mi venissero concessi i mezzi per rendere felici gli altri attraverso la musica… >>), riconosciuto anche dalla critica più conservatrice, osannato dalle folle. La trionfale incisione di "Giant Steps", ma ancor più di "My Favourite Things" e "Summertime", avvenute pochi mesi prima, gli conferirono per la prima volta la possibilità di decidere il proprio percorso artistico.
L'introverso ragazzo di Hamlet era adesso pronto a spiccare il volo verso vette ancor più impervie. 1961. Il contratto con la Atlantic scade proprio all'inizio di quell'anno, il passaggio alla Impulse dona a Trane oltre che un supplemento di verdoni, la libertà di esplorare quegli universi che rappresenteranno la sua cifra per il resto della carriera, gli Amori Supremi, l'India, l'Africa. Proprio nel mezzo della registrazione di "Africa/Brass", proprio nel mezzo del divino operare, salta fuori un gretto cavillo del contratto con la Atlantic: la burocrazia parla ancor più chiaro dell'arte, bisogna sfornare un ultimo disco per la vecchia label, e anche subito. Due giorni, dico due, e il più prosaico degli intoppi produce uno degli episodi musicali più fulgidi del secolo andato.
ascolta qua: john coltrane – Ole.ogg
"Olè Coltrane" è evidentemente un miracolo. La prima traccia, "Olè", conferma lo stato di grazia sovrumana cui John sa elevarsi ogni volta che sente profumo di Spagna, basti citare lo straziante assolo di "Flamenco Sketches". Ma qui si va ben oltre. Il carattere spiccatamente improvvisativo della suite porta Coltrane a inerpicarsi nell'Inesplorato, un salto nel buio lungo 20 minuti, una interminata febbre, un urlo lacerante, un brivido perenne, il tripudio del Caos, o del Caso. E a quest'ultimo si deve la straordinaria combinazione di individui che composero quelle epocali sedute di registrazione tra il maggio e il giugno del suddetto 1961.
McCoy Tyner ed Elvin Jones li conosciamo già, avranno tanto da spartire col nostro negli anni a venire, e sono qui a fornirci gemme di ritmo da quartetto ante-litteram. Detto della splendida tromba di Freddie Hubbard, l'ennesima sfaccettatura del miracolo è il doppio basso di Reggie Workman e Art Davis, protagonisti, sempre in "Olè", di un deflagrante double-solo che sconfina in sonorità assolutamente violinistiche. Una perla, o se preferite, un delirio.
Caos e Caso seppero poi concordare per la presenza nel progetto di monsieur Eric Dolphy (beh, ma non lo dite a quelli della Atlantic però, sempre per oscuri cavilli il nostro amico compare con lo pseudonimo George Lane, bah, fatti loro, da adesso così lo appelleremo), spirito affine a Coltrane, suo grande amico, compagno di esplorazione e di salto nel buio. Mai la presenza di Lane fu così opportuna, i cinguettii del sax alto, ma soprattutto del flauto, solcano l'esperienza improvvisativa con la perizia di chi non ha mai avuto nulla da perdere o da dimostrare. La quarta e ultima traccia è un dialogo un pò sbronzo tra i due, due bimbi felici, con le mani ancora sporche di marmellata.
Mi piace immaginarli quei due matti, in quei due giorni di 45 anni fa, liberi da ogni freno, a cospirare miracoli, ed esultarci su, con leggerezza. Olè.